Rieducazione visiva: considerazioni epistemologiche

L’epistemologia spiega come l’attività scientifica proceda storicamente e descrive il collegamento tra le varie scienze. Proviamo a interpretare i disturbi di vista con un approccio epistemologico: allargando il modo di pensare affronteremo meglio un percorso di rieducazione.

L’oculistica attuale si basa sulla teoria dell’accomodazione formulata, nel 1845, dal fisiologo tedesco Hermann von Helmholtz. Eclettico uomo di scienza, aveva una visione matematica e razionale dei fenomeni della natura. Dedicatosi allo studio dell’ottica indagava l’occhio come una struttura governata da leggi geometriche alle quali ogni manifestazione fisiologica doveva logicamente corrispondere (la scienza newtoniana non era ancora stata “ridimensionata” dalla teoria della relatività di Einstein).

Nel 1920, l’oftalmologo William Bates ribalta il punto di vista di Helmholtz e afferma che  nessuno stato refrattivo può essere considerato veramente permanente. In considerazione di questa costante variabilità dello stato refrattivo degli occhi, elabora una nuova teoria sull’accomodazione più dinamica.  Nonostante le sue affermazioni fossero avvallate da dati sperimentali, Bates non fu capito e fu radiato dall’ordine dei medici. Le sue idee vennero riprese in considerazione solo alla fine del secolo.

Nel 1966, lo psicologo James J. Gibson esponendo la sua teoria sulla percezione scrive: “Gli scienziati che si occupavano di ottica sapevano tutto della luce come radiazione, ma non della luce  considerata come fenomeno di illuminazione. Gli anatomisti conoscevano l’occhio come organo, ma erano all’oscuro di quanto esso è in grado di fare. I fisiologi conoscevano le cellule nervose retiniche e il loro funzionamento, ma ignoravano il modo in cui operava il sistema visivo. Tutte le loro conoscenze mi apparivano prive di rilievo. Potere creare degli oleogrammi, prescrivere degli occhiali, curare malattie dell’occhio sono tutte splendide realizzazioni: tuttavia non possono spiegare il fenomeno della visione.”

Nel 2009 gli scienziati Rizzolati e Sinigallia, nel libro in cui svelano l’esistenza dei neuroni specchio, descrivono così la relazione tra spazio e visione:

  • “Per raggiungere un oggetto dobbiamo prima localizzarlo, cioè misurare la sua posizione rispetto a noi. Il cervello deve prima codificare la relazione spaziale tra il nostro braccio e l’oggetto prima di tradurre in atti motori.
  • Lo spazio visivo è codificato da una molteplicità di sistemi di riferimento corporei diversi, distribuiti a seconda del campo recettivo somatosensoriale corrispondente (sistemi di coordinate centrati sulla testa, sul collo, sul braccio, sulla mano…).
  • Eccetto che per compiti molto elementari, il sistema oculomotorio richiede un sistema di coordinate che calcoli la posizione degli oggetti nello spazio rispetto all’osservatore e non solo la loro posizione sulla retina.”

Alla luce di questa evoluzione storica, risulta parziale e limitativo considerare i problemi visivi sempre e solo secondo le leggi ottiche di Helmholtz. Alle volte il disagio visivo  riguarda più il come vediamo che non il quanto vediamo.

Al ristorante, se vogliamo ordinare qualcosa, ci interessa sapere quali ingredienti e quale tecnica di cottura sono stati utilizzati, non l’elenco delle vitamine e proteine contenute o il numero complessivo delle calorie.

Deviare il raggio di luce… o cambiare la percezione?

La rieducazione visiva non può certo deviare la direzione del raggio di luce che raggiunge gli occhi. Ma può cambiare il modo di operare del soggetto che percepisce.

Le leggi ottiche mantengono le loro verità e la loro importanza (sarebbe stupido non considerarle nella prescrizione delle lenti). Ma la rieducazione visiva può anche migliorare la capacità dell’essere umano di ricevere e di relazionarsi con le immagini.

Secondo una datata concezione scientista sarebbe comodo pensare che vediamo sempre allo stesso modo e formulare leggi esatte e inequivocabili sul modo di percepire. Ma non è così! Ed è ormai arrivato il momento di cominciare a ragionare diversamente.

Come rieducatrice spesso mi risulta più difficile tenere a bada il mentale dei miei pazienti che non stimolare i loro occhi a vedere meglio. I pazienti dubitano, nonostante l’evidenza, di poter cambiare in pochi istanti la nitidezza di una lettera perché questo mette in crisi un loro costrutto teorico. Il fenomeno deve essere ridotto a una misura fissa e inequivocabile, altrimenti non esiste. Questo è il modo di pensare al quale siamo stati abituati

“Quanto sono migliorato, e quanto ancora potrò migliorare in termini di diottrie? Di quanto potrò ancora abbassare la correzione dei miei occhiali nei prossimi tempi?” Domandano, nell’illusione che questi numeri possano cambiare il loro stato interiore. Alle volte rispondo delle cifre, altre volte lascio perdere. Non è certamente a dei numeri che possiamo affidare il nostro benessere visivo.

Preferisco chiedere ai miei pazienti se in alcune situazioni la vista è cambiata in meglio. E così magari scopro che adesso possono leggere un giornale al sole senza ricorrere alla correzione, o che sono usciti per andare al lavoro e, solo dopo diverso tempo, hanno realizzato di essere senza occhiali.

Perché non impariamo a fidarci un po’ di più delle nostre sensazioni? Perché, per una volta, non raccontiamo noi allo specialista come riusciamo a vedere anziché chiedergli, spaventati, quanto vediamo?

Le scienze della visione progrediscono se raccolgono nuovi elementi sul modo di percepire e non solo se continuano ad affidarsi a esami e misurazioni sempre più sofisticate. Non si può ridurre una bella poesia a un’insieme di regole di metrica e grammatica.

Cristina Zandonella

Approfondimenti:

William Bates
The Cure of Imperfect Sight by Treatment Without Glasses
Central Fixation Publishing Co, New York City – 1920

James J. Gibson
Un approccio ecologico alla percezione visiva
Bologna, Il Mulino – 1999

Giacomo Rizzolati e Corrado Sinigallia
So quel che fai – il cervello che agisce e i neuroni specchio
Milano, Raffaello Cortina – 2006

Thomas Kuhn
La struttura delle rivoluzioni scientifiche,
Torino, Einaudi – 1978.