Accomodazione: tre teorie a confronto
Il processo di accomodazione è un meccanismo di adattamento dell’occhio alla messa a fuoco di oggetti situati a differenti distanze. Nella oftalmologia attuale viene attribuito a cambiamenti di forma del cristallino.
- Quando un occhio guarda un oggetto situato a oltre 6 metri di distanza, riceve da esso dei raggi luminosi paralleli. Il sistema di rifrazione dell’occhio con visione normale è strutturato in modo tale da far convergere questi raggi affinché il loro punto di fuoco cada esattamente sulla retina, dove si forma un’immagine nitida.
- Quando invece l’oggetto è situato a una distanza inferiore ai 6 metri, i suoi raggi giungono all’occhio non più paralleli, ma divergenti. Affinché si formi sulla retina un’immagine nitida, è necessario che nella rifrazione oculare avvenga una modificazione adeguata a far convergere in giusta misura i raggi in arrivo.
Hermann von Helmholtz
Nel diciannovesimo secolo gli studiosi si domandavano quali fossero le esatte modificazioni che avvenivano nell’occhio. Tra le varie ipotesi prevalse quella del fisiologo tedesco Hermann von Helmholtz che aveva una visione matematica e razionale dei fenomeni della natura.
Secondo Helmholtz il cristallino è un corpo elastico e la sua forma varia per azione dei muscoli interni dell’occhio (muscoli ciliari): la superficie anteriore del cristallino diventa più curva nella visione vicina e più piatta nella visione a distanza. Questa spiegazione rappresenta ancora l’interpretazione attuale del processo di accomodazione.
William Bates
Nel 1920 l’oculista americano afferma che nel complesso meccanismo di accomodazione il cristallino non è il fattore determinante nell’accomodazione. Bates riprende in considerazione una teoria precedente che sosteneva che i muscoli oculomotori sono gli agenti dell’accomodazione e ridimensiona drasticamente il ruolo del cristallino.
Studiando gli afachici (persone prive del cristallino) e sperimentando su animali ai quali aveva asportato il cristallino, verifica che in questi soggetti permane una certa capacità accomodativa.
Secondo Bates i muscoli oculomotori con le loro contrazioni e decontrazioni operano un piccolo cambiamento di forma del bulbo oculare per adattare la messa a fuoco a diverse distanze. La sua teoria si estende anche ai difetti di refrazione e alla presbiopia. Per Bates “la miopia è uno sforzo dell’occhio che si è creato da vicino e permane nel guardare lontano”. È come un blocco di un naturale dinamismo. Fu radiato dall’ordine dei medici e nessuno si è mai preoccupato di dimostrare la sua teoria.
Quello che emerge è una contrapposizione di mentalità:
- per Helmholtz l’occhio è comparabile ad una sfera di perfezione ottico-geometrica
- per Bates è un organo vivo e in continuo mutamento, ed è proprio quando questa dinamicità si blocca che si origina il difetto di vista.
Behavioural optometrist
Cinquanta anni dopo, una scuola di optometrisiti americani mette in evidenza la sinergia che esiste tra l’accomodazione e la convergenza: il cristallino continua ad avere un ruolo importante, ma l’accomodazione è condizionata dal movimento che gli occhi fanno uno verso l’altro (la convergenza).
Il movimento di convergenza degli occhi si attiva quando si guarda un oggetto vicino, e si disattiva quando si guarda lontano. Esso è interamente determinato dai muscoli oculomotori che fanno volgere i bulbi oculari verso l’interno. Quando questo accade anche il cristallino aumenta la sua convessità e si predispone per la visione vicina.
Se si verifica qualche anomalia nel meccanismo di convergenza gli occhi possono convergere troppo poco (insufficienza di convergenza) o convergere troppo (eccesso di convergenza) . In entrambi i casi l’accomodazione risulta compromessa. Questi optometristi, un po’ come Bates, mettono in relazione i difetti di vista con la convergenza e con l’accomodazione.
Gli optometristi comportamentali hanno dato rilievo a un aspetto molto importante: che gli occhi sono due e la messa a fuoco è la risultante della loro buona cooperazione. Tale collaborazione è attuata principalmente dall’azione dei muscoli oculomotori.
Nella mia esperienza clinica ho sempre verificato che mettendo in esercizio e sbloccando la muscolatura estrinseca degli occhi si ottiene un miglioramento della visione.